Brand equity, Minetti e Parah: crisis management impossibile?

Brand equity di Parah in pericolo dopo la passerella di Nicole Minetti: il marchio di intimo moda bersagliato su Facebook. Il crisis management praticabile solo ad una condizione.

Premessa | Parah, SPA italiana specializzata in intimo moda, per nulla intimorita dal pericolo di ferire la propria brand equity assume come indossatrice la consigliera regionale Nicole Minetti. La signora è bella, ha un portamento sufficientemente elegante ed è molto nota, ma soltanto perché coinvolta in faccende giudiziarie sulle quali è forse sconveniente soffermarci.

Brand equity di Parah compromessa su Facebook

Il fatto | Per via della scelta la ditta varesina viene investita sui social media aziendali (in particolare Facebook) da un’ondata di violente critiche. La bacheca ancora oggi – a diversi giorni dall’accaduto – sembra un tiro al bersaglio.

Un timido riparo | Prima della passerella – all’anticiparsi dei malumori – il management di Parah aveva già sperimentato una difesa preventiva, pubblicando proprio sulla sua bacheca un aggiornamento di stato in cui si spiegavano le ragioni della scelta: in parole semplici si voleva fare “guerrilla marketing”.

Il pentimento | Preso atto del potenziale danno alla brand equity, l’amministratore dell’azienda rilascia un’intervista con la quale rinnega la (cosiddetta) “chiacchierata” modella. E promette che non farà mai più ricorso ad escamotage di marketing tanto rischiosi.

Gli ulteriori sbagli | Nel pronunciarsi pubblicamente, prima su Facebook e poi ai microfoni de “La zanzara”, l’AD di Parah commette alcuni errori che paiono grossolani:

  1. si lascia andare a discutibili battute di spirito nei confronti di uno stimato personaggio televisivo che aveva criticato l’operazione, vanificando così il tentativo di fugare le accuse di “cattivo gusto” che le erano state rivolte;
  2. sottovaluta l’importanza dei social media;
  3. non attiva immediatamente il crisis management.

Perché giocare d’azzardo con la brand equity?

La domanda si ripete più volte sulla pagina Facebook di Parah, e anche voi ve lo sarete chiesti: chi e perché ha deciso di avventurarsi nella rischiosa impresa, individuando in Nicole Minetti la testimonial per una sfilata?

Secondo alcuni si tratta di una scelta consapevole, per quanto potenzialmente sbagliata: la consigliera doveva far lievitare il buzz che circonda l’azienda. E così è stato.

Per altri la ragione è la stessa, ma non c’è alcun errore: il rumor generato dalla notizia contribuirà nel tempo alla notorietà del marchio, alla brand equity, e conseguentemente aiuterà il buon fatturato.

Altri ancora interpretano l’accaduto ipotizzando una forte incompetenza dei responsabili del marketing.

Io cerco di guardare alle dinamiche aziendali sempre con una prospettiva terrena, e dopo averci riflettuto un po’ per me l’interrogativo ha perso di interesse. Chissà: forse la signora Minetti è nell’entourage del consiglio di amministrazione di Parah, e così in un’allegra (e candida) serata tra amici è venuta fuori l’idea. Ed evidentemente è anche sembrata buona, tra chiacchiere e sorrisi e calici di prosecco, a qualcuno dei responsabili aziendali presenti.

Salvare la brand equity con un’operazione di crisis management

Senza presunzione di successo, a mio avviso sarebbe ancora possibile preservare il valore del marchio coordinando immediatamente un’azione di crisis management sui principali social media. Ma per fermare l’assedio ci vorrebbero tempismo, determinazione, trasparenza e Web credibility.

Alle imprescindibili condizioni che indico più avanti, fossi in Parah procederei secondo questa scaletta:

  1. Pubblicazione di una netiquette. Contenente tra l’altro un patto con gli utenti che consenta il confronto e conceda spazio per spiegare l’accaduto, anche attraverso legittime prassi di moderazione.
  2. Dichiarazione scritta di scuse, sentite e partecipate, dello stesso manager che ha rilasciato l’intervista radiofonica. Al fine di recuperare la credibilità.
  3. Omissis (!).
  4. Una risposta per ciascun aggiornamento di stato dei liker. Una ad una.

Ho parlato di indispensabili premesse: prima di avviare l’operazione di crisis management sarebbe fondamentale che la dirigenza facesse proprie le dinamiche del Web e dei social media. Le risulterebbe altrimenti difficile comprendere la portata dei passi falsi commessi, per evitarne in futuro.

Come accennavo in un post dedicato alla pagina Facebook aziendale, è pericoloso sottovalutare le reti virtuali. Una volta entrati l’impresa è aperta al mondo: per far sì che tutto appaia pulito, ordinato ed in questo specifico caso anche elegante, è necessario che ogni componente faccia la sua parte, dirigenti compresi. Per preservare una brand equity che a volte, come per Parah, è stata costruita ben prima che Wikipedia potesse spiegarne l’importanza.

4 pensieri su “Brand equity, Minetti e Parah: crisis management impossibile?

  1. Nel pieno rispetto delle opinioni espresse in questo post il caso Parah non ha nulla a che fare con il crisis management. Sarebbe utile smettere di usare il termine “crisis management” in maniera impropria. Al massimo è possibile parlare di issue management. Ma forse si tratta di concetti troppo sofisticati per gli “esperti” di social media che pullalano nel nostro Paese.

  2. Ciao Patrick Trancu, piacere.
    Ad una prima lettura il commento mi è parso contraddittorio. Solo dopo aver visitato il tuo blog credo di aver compreso il significato del messaggio e le ragioni che hanno generato un così forte sarcasmo. Ti rispondo, ma premetto che io ed il mio blog difficilmente potremo esserti d’aiuto, se non per un backlink no-follow.

    Non di rado contenuti connotati da acredine, intrisi di dichiarazioni sentenziose e giudizi di valore, manifestano disagio. La mia opinione è che appari eccessivamente concentrato sulle tue competenze, ed oltremodo condizionato dal potente fascino della lingua italiana aulica. Circa quest’ultimo possibile inconveniente ti offro un suggerimento.

    È un manifesto errore definire con il termine “sofisticato” un concetto che si vuol invece intendere articolato e di difficile comprensione. Il concetto può essere “complesso”, “spinoso”, “oscuro” o più semplicemente “complicato”, ma non “alterato”, “innaturale”, “lezioso” o “ricercato” (questi sono alcuni dei sinonimi di “sofisticato”). Chi non detiene il pieno possesso del lessico, ma lo chiede in prestito per decorare la comunicazione, corre il rischio non soltanto di essere frainteso, ma anche di diventare alla lunga schiavo delle proprie forme espressive.

    Vado al dunque. La locuzione “crisis management” può applicarsi a differenti settori del marketing, tradizionale o digitale, come al governo di una nazione, alla gestione aziendale e persino a quella familiare. In questo contesto si argomenta in tema di marketing. Ciò a cui tu probabilmente ti riferisci è invece il crisis management aziendale che attiene a criticità più estese.

    Un esempio di quest’ultima prassi – sulla quale nel tuo blog ti definisci “esperto” – è dato dalla gestione del caso “Costa Concordia”, o dell’influenza aviaria e della carne di pollo. In questi ambiti il concetto di crisis management si espande, ed ingloba tutte le attività decisionali e di comunicazione volte tanto ad identificare e circoscrivere danni conseguenti ad un accadimento, tanto all’analisi della sua portata, quanto alla ricerca di eventuali soluzioni per tutelare persone e cose esterne alle imprese, ed assieme interessi commerciali, brand equity e reputation.

    Se lo proponi possiamo anche approfondire l’argomento “issue management”, però credo sarebbe opportuno trovare un differente tavolo di confronto. Intanto buon lavoro.

  3. non sono gli “esperti” del paese il problema, ma è l’audience che non ha gli strumenti per cogliere le sfumature nell’utilizzo del termine “issue”, rispetto a un più noto (ma comunque ancora troppo poco conosciuto) “crisis”.

    l’analisi del pezzo è molto interessante, l’ho trovata dopo aver fatto qualche ricerca, dopo la crisi di stamattina legata alla pagina Clendy di facebook e alla loro campagna pubblicitaria imbarazzante… sicuramente c’è spazio per un altro bell’articolo !

    saluti!

  4. @ ethico – Grazie del commento. Mi auguro che Clendy sappia reagire meglio. Visto il rischio che si sono accollati, c’è da augurarsi che abbiano preventivamente approntato un piano di crisis management.

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