Su Facebook e Twitter il crisis management richiede tempismo e web credibility. La mia esperienza con Facebook e Twitter di Omissis.
Se un’azienda ha già una propria identità Web prima o poi si dovrà confrontare con il crisis management su Facebook e Twitter. Se l’azienda non ha ancora creato il suo alter ego digitale è opportuno che lo faccia in fretta.
Vale a dire che – come le persone – le imprese sono soggette per natura a crisi di reputazione. Non vi racconto l’ultima figuraccia che ho fatto ieri al bar, ma riporto invece l’esempio – fresco fresco – che riguarda il servizio hosting del gigante statunitense Godaddy (un partner Google, per intenderci): l’altro ieri il server principale e quelli dove poggiano milioni di siti nel mondo sono rimasti offline per diverse ore a causa di un serio inconveniente tecnico. L’azienda – che per quanto affermatissima non gode di buona reputazione sotto il profilo etico – ha commesso un errore sostanziale sul suo account Twitter. Tant’è che il giorno dopo si è vista costretta a lanciare un post sul blog istituzionale per scusarsi e promettere un “presente” ai clienti vittime dei disagi. In quel post, però, si è reso necessario sospendere i commenti perché – a causa dell’inefficace crisis management – a pochi istanti dalla pubblicazione si era alzata un’invalicabile montagna di pesanti improperi.
Cos’ha combinato la multinazionale su Twitter? Si è limitata ad incassare, postando soltanto 7 tweet nell’arco di 5 ore (altro che “tempo reale”) a fronte di migliaia e migliaia di citazioni inviperite. Non basta! Nonostante le pressanti richieste di conoscere l’ETA (Estimated time of arrival, cioè il tempo stimato per risolvere il problema) l’interlocutore non forniva indicazioni ma dispensava generiche parole di conforto: “We are still working”, “We are still working”, “We are still working and your data are safe”, e via di copia e incolla).
Il crisis management Twitter per “Omissis”.
In situazioni in qualche modo paragonabili a quella di Godaddy mi ci sono trovato qualche mese fa con Omissis (8.000 follower) e Facebook (110.000 fan). L’azienda aveva promesso tempo prima un aggiornamento di sistema importante per il più rappresentativo dei suoi smartphone, Omissis, ma nel testare l’update si era accorta che il dispositivo mal lo digeriva. E così, candidamente, l’internazionale decise di comunicare agli utenti che il nuovo rilascio non ci sarebbe più stato. Apriti cielo!
Nel giro di qualche istante gli account Omissis social di tutto il mondo sono finiti all’inferno: la massa di contestazioni (è un eufemismo quello appena usato) era talmente grande e frenetica che pareva impossibile porre rimedio. Naturalmente non era così.
Sintetizzo estremamente le mosse del crisis management che ho praticato in due fasi.
Fase 1.
- L’azienda si è immediatamente (tempo reale) detta dispiaciuta per l’inconveniente, e pienamente consapevole dei disagi conseguenti.
- Ha preliminarmente stipulato un patto ad hoc con gli utenti: qualunque tweet e qualsiasi commento avrebbe ottenuto risposta, a condizione che fosse libero da aggressioni ed invettive. Si è così reso possibile il confronto ed il dialogo. E sono state giustificate le inevitabili attività di moderazione, rendendole legittime e perciò condivisibili (e quasi sempre condivise): chiunque ha il diritto di protestare, anche con estrema determinazione, ma senza offendere e senza impedire la discussione.
- Omissis ha quindi chiaramente denunciato la causa del problema: limiti tecnici che con l’aggiornamento avrebbero causato un’esperienza d’uso insoddisfacente.
- Nel rispondere a *tutti* i messaggi si è gradualmente spinto il flusso della conversazione verso la questione tecnica, allontanandosi da quella (terribile) più propriamente “morale”. Dal giudizio di valore si è passati a quello di merito, demotivando chi alle conversazioni avrebbe preso parte esclusivamente per pulsioni emotive.
- Si sono stimolati e coinvolti i presenti opinion leader – molto competenti sotto il profilo tecnico ed altrettanto amabili sotto quello umano – per analizzare a fondo la questione, così da catalizzare sui loro influenti pareri (appunto “tecnici”) l’attenzione dei follower e procedere quindi nella “razionalizzazione” del confronto.
- Ci si è posti in posizione di totale, sincero e credibile ascolto.
- Ci si è impegnati a comunicare agli organi internazionali rimostranze, suggerimenti e proposte.
In poche ore il crisis management si è rivelato efficace ed ha consentito la “gestione” diretta della brand reputation, impedendo che la stessa cadesse – totalmente indifesa – nelle mani di forum ed altre community online. Non è finita, ora viene il meglio (in senso ironico!).
– Fase 2.
Omissis il giorno dopo torna sui suoi passi: si impegna al rilascio di una versione “alleggerita” dell’aggiornamento promesso, così da dribblare i limiti hardware. Ma una notizia tanto positiva avrebbe potuto rivelarsi funesta, e procurare ulteriore danno per l’immagine del brand: troppo facile per gli utenti più emotivamente coinvolti dare ragione a chi – nelle fasi iniziali – denunciava biechi interessi commerciali dietro il mancato rilascio e tacciava l’impresa di aver mentito sulla questione dei “motivi tecnici”.
Ho proceduto in questo modo per scongiurare l’eventualità, che d’altra parte sarebbe stata davvero ingrata:
- Omissis ha immediatamente ed ampiamente sottolineato i dettagli tecnici della soluzione, concentrando il dialogo prevalentemente su questo aspetto, e premiando la lungimiranza e la capacità di analisi degli opinion leader coinvolti.
- Sempre immediatamente ha ringraziato tutti gli utenti per essersi fatti “ascoltare” il giorno precedente, e non semplicemente “sentire” a suon di improperi ed invettive.
- Si è complimentata con gli stessi utenti, peraltro davvero meritevoli, per l’efficacia della durissima ma costruttiva critica che – puntualmente trasmessa agli organi internazionali da Omissis – era stata appunto accolta e ripagata.
Ho vissuto altre occasioni per praticare, su Twitter e Facebook, il crisis management. Magari però ne parleremo in diverse occasioni.
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