Analisi SEO e tool online

Analisi SEO | Come valutare il grado di ottimizzazione del tuo sito Web aziendale o del tuo blog. E rimediare ad eventuali inconvenienti.

In questo post cercherò di darti gli strumenti e le informazioni essenziali per praticare una analisi SEO di un blog o di una singola pagina Web, sempre che l’argomento sia di tuo interesse e che tra i tuoi desideri ci sia quello di primeggiare nelle SERP di Google & Co. E proverò persino a condividere senza riserve (alcuni) tips & tricks che esperienza e mestiere mi hanno insegnato.

Analisi SEO - È un'arte

In cambio ti chiedo di darmi un soldo di credito: se Internet ed il buon posizionamento sui motori di ricerca rappresentano per te una priorità, magari perché col digitale ci lavori o hai finalmente deciso di portare online la tua attività imprenditoriale, non c’è analisi SEO e tool automatici che tengano.

Nel senso che la Search Engine Optimization non si risolve in una serie di verifiche e di accortezze tecniche e linguistiche, per quanto tutte insieme possono comunque migliorare nettamente la tua visibilità online: per ottenere risultati professionali probabilmente ti toccherà rivolgerti ad uno specialista SEO, capace di interpretare al meglio le tue esigenze commerciali e suggerirti la migliore strategia di inbound marketing.

Detto questo, cominciamo.

Analisi SEO in-page: prima le prestazioni.

Una analisi SEO che si rispetti parte dal codice HTML e da altri fattori strutturali che certamente influenzano il compito degli spider: genericamente vengono classificati come “in-page”.

Il primo parametro da verificare è la velocità di caricamento della pagina, condizionata da numerose variabili: il “peso” degli elementi grafici, l’hosting, la collocazione fisica del server, l’adozione di cache e via dicendo. Per calcolare i tempi puoi utilizzare un tool a cui mi affido spesso anch’io: Speed Test by Handergy.

Come termini di confronto uso precisi riferimenti:

  1. la home di un ecommerce complesso deve potersi scaricare entro 1,5”, non di più;
  2. la prima pagina di un blog “commerciale” o aziendale, per quanto zeppo di banner, dovrebbe apparire prima che passi un secondo dal click di accesso;
  3. un sito semplice ed essenziale (e non per questo poco efficace) dovrebbe mostrare notevole velocità di download: meno di 0,5”.

Se l’esame non è superato è bene chiedersi cosa c’è che non va nella struttura del sito, nel suo database o nell’hosting su cui è poggiato. In caso positivo puoi invece tirare un sospiro di sollievo e proseguire con analisi SEO e verifiche.

Gli ulteriori fattori “interni”.

Un aspetto che ho ragione di credere sia molto importante è il giusto ordine assegnato ai marcatori “headings”. In ciascuna pagina Internet dovrebbero essere presenti:

  1. un solo H1, che coincida naturalmente con il titolo.
  2. Un H2 (possono fare eccezione le home page dei blog), generalmente identificabile come “sottotitolo”; è un riassunto di quel che potrai leggere in un post, ad esempio.
  3. Alcuni H3 – preferibilmente impiegati per identificare i titoletti di paragrafo – ed eventuali H4 esterni (nel footer, cioè in calce).

Attraverso analisi SEO automatiche o “manuali” è altrettanto importante verificare la presenza degli attributi ALT e title delle immagini, nei quali è bene ripetere con cura la keyword principale del contenuto.

Altre variabili che incidono sensibilmente sull’indicizzazione e quindi sul posizionamento sono i comandi compilati in “robots.txt”, e l’effettiva presenza del file stesso e del codice di Google Analytics.

Minor valore, ma comunque non trascurabile nell’ottica di un’analisi SEO accurata, hanno i parametri di lunghezza e di conformazione della URL (più è corta meglio è, a patto che contenga la parola chiave primaria), la lingua, il doctype  e l’encoding HTML (es. <meta http-equiv=”Content-Type” content=”text/html; charset=utf-8″>).

Analisi SEO on-page.

L’analisi SEO non può risultare favorevole se non riscontra la presenza di un titolo di lunghezza inferiore a 70 caratteri, una meta description che riassuma efficacemente entro circa 150 caratteri l’intero contenuto, e non più di 4/5 meta keyword.

In realtà le meta keyword potrebbero anche non essere presenti, tanto più che Google da un bel po’ ha giurato di non filarsele più. Ma se hai deciso di usarle è d’obbligo accertarti che risultino rigorosamente coerenti con il testo del post o dell’articolo.

Un link che punta ad una destinazione esterna non è affatto un problema, anzi: i motori di ricerca andranno a spulciare i contenuti e li considereranno come ulteriore contributo al contenuto di origine. A patto però che la risorsa goda di buona reputazione.

Dunque la presenza di pochi link esterni, come di alcuni interni, viene generalmente considerata dai sistemi di analisi SEO come un generico fattore positivo.

Ultime verifiche ed il tool che preferisco.

Se il tuo sito non gode di un soddisfacente posizionamento per le sue principali keyword, sotto sotto potrebbero covare delle penalizzazioni: un tool che testi il grado di ottimizzazione dovrebbe essere capace di rivelare anche questa eventualità.

La presenza del nome di dominio in una “lista nera”, così come tutti i fattori che ho indicato fino ad ora, vengono verificati da uno strumento online che ho messo a punto di recente sul sito Web di Handergy, l’azienda che amministro.

Quel tipo di analisi SEO – peraltro corredata di una guida passo-passo e capace di misurare anche la “reputazione” online – è ovviamente utile per disegnare soltanto un quadro di massima, ma rappresenta in ogni caso un buon punto di partenza:

http://handergy.com/analisi-seo/

Se hai bisogno di chiarimenti chiedi pure: risponderò subito, anche a costo di rientrare dalla spiaggia e trascurare buone compagnie.

Google Trends si fonde con Google Insights

Google Trends e Google Insights accorpati in un unico strumento. Finalmente utilizzabile anche su smartphone grazie ad HTML5.

La notizia è stata diffusa il 27 di settembre, ma solo da alcune ore l’effetto è visibile anche in Italia: Google Trends e Insights sono ora un unico strumento. D’altra parte i dati utilizzati dalle due precedenti varianti erano i medesimi, solo presentati attraverso differenti prospetti.

La novità farà piacere fin da subito a chi spesso frequenta il Web tramite smartphone: i grafici del nuovo Google Trends sono basati su HTML5 e dunque hanno caratteristiche “adattive”. Sono cioè capaci di ridurre automaticamente le dimensioni in funzione della grandezza del display: non sarà più necessario scorrere orizzontalmente o verticalmente per visualizzarli.

Il nuovo Google Trends incorpora Insights

Non tutti i fruitori dei servizi di BigG saranno però contenti. Vediamo perché.

Addio Google Insights: i SEO dovranno adeguarsi a Google Trends.

Le due applicazioni sono sempre state considerate preziosissimi tool dagli addetti ai lavori, da coloro cioè che lavorano sul Web e sulle parole chiave dei motori di ricerca: i SEO (Search engine optimizer). Se è vero che – come recita Google – tutte le preesistenti funzioni sono state fuse e sono dunque salve, è altrettanto vero che la specificità di ciascuno dei due strumenti faceva comodo agli operatori, in circostanze diverse e per differenti esigenze. Non solo.

Numerose software house avevano predisposto le proprie applicazioni sulla struttura di Insights, che consentiva fino all’altro ieri studi più approfonditi. Risultato: ora quei “SEO tools” dovranno essere riprogettati per rispondere alle rinnovate caratteristiche.

Il nuovo Google Trends.

D’altra parte il Google Trends così ristrutturato appare subito completo, dotato di un’interfaccia più gradevole e moderna della precedente, ma soprattutto basata su di una logica d’interazione maggiormente spontanea ed immediata.

La prima schermata è del tutto simile a quella tipica del motore di ricerca di Mountain View: si inserisce la keyword desiderata (o il gruppo di keyword) e si preme invio. Di qui si viene dirottati nella pagina dei risultati, dove campeggia sulla parte superiore il titolo riassuntivo dell’analisi; ad esempio: “Interesse in Google Ricerca Web: [parole chiave]. Tutto il mondo, 2004 – Presente“.

Appena più in basso è riportato il grafico delle variazioni. Scorrendo ulteriormente la pagina si evidenziano i riquadri dell’interesse regionale (nazione o città) e dei termini correlati (distinti in “più cercati” e “in crescita”). I dati possono essere incorporati come iframe in una pagina Internet esterna grazie all’apposito pulsante.

Un menù completamente rivisto.

Sulla sinistra, in linea con la struttura estetica e funzionale di tutti gli altri servizi Google, campeggia il nuovo menu. Diverse le voci:

  1. Esplora le tendenze – Cliccando sulla voce si viene portati alla “home” di Google Trends, resettando i termini di ricerca utilizzati in precedenza.
  2. Ricerche più frequenti – L’opzione fornisce gli esiti del cosiddetto “Hot Search”, ovvero l’indice delle key più praticate nelle ultime ore. Per il momento il servizio è limitato a Stati Uniti, India, Giappone e Singapore.
  3. Termini di ricerca – È possibile prendere in esame fino a cinque diverse parole chiave, i cui risultati sul grafico vengono rappresentati da linee di differente colore.
  4. Altri confronti– L’opzione consente di scegliere tra
    1. termini di ricerca
    2. località
    3. intervalli di tempo.
  5. Limita a – L’ultimo menu consente di circoscrivere l’analisi secondo 4 differenti criteri:
    1. Google ricerca Web / Immagini / News / Product Search
    2. Tutto il mondo / per nazione
    3. Data
    4. Categorie (ad esempio community, arti, Internet, acquisti, etc.).

Ad un primo esame Google Trends appare profondamente trasformato, limitatamente però alla logica d’interazione. Tutto sommato a me piace così, ma mi riservo di esprimere un giudizio definitivo su interfaccia e funzionalità dopo alcuni giorni di utilizzo.