WOM, il bello del passaparola 2.0

WOM – letteralmente “passaparola” – nel marketing rappresenta lo scambio di pareri e consigli tra consumatori. L’acronimo sta per Word of mouth.

Non c’è nulla che condizioni le scelte d’acquisto più del WOM. E a dirlo non sono io ma tutte le recenti analisi di mercato che studiano le attitudini dei consumatori, indipendentemente che il bene di consumo sia un prodotto o un servizio.

Word of mouthPer farla semplice: la maggior parte delle persone decide di comprare qualcosa solo dopo aver ascoltato i pareri dei suoi “simili” attraverso i social media, ed in specie blog, Facebook, Twitter, Google+ e community online. Se in casa c’è bisogno di un nuovo televisore chi dovrà sostenere la spesa consulterà recensioni online e video review su diversi modelli e marchi, per poi confrontarsi con gli amici social, “lurkare” nei forum, raccogliere e sintetizzare le opinioni più recenti diffuse sul Web.

Questa prassi – torna utile ribadire il concetto – determina il passo finale più di quanto siano in grado di fare gli spot televisivi, i cartelloni pubblicitari in strada, le raccomandazioni del dirimpettaio. Potremmo chiamarlo il passaparola 2.0, al quale tanto rispetto dovrebbero le aziende di questo millennio.

Qual è la differenza tra WOM e Buzz?

Il Word of mouth risponde ad una domanda imperativa: “cosa compro”? Il “brusio” invece può essere legato a questo come anche a mille altri interrogativi, ed è generalmente originato da un evento: l’introduzione di un nuovo prodotto, il lancio di un inedito servizio, l’arrivo sul mercato di una startup. Il Buzz può quindi assimilarsi al concetto di “rumore” generato da una notizia, se per un attimo vogliamo sganciarci dal contesto marketing.

Un chiaro esempio della differenza tra i due termini ci viene offerto dal recentissimo lancio dell’iPhone 5. In tanti lamentano l’assenza di concrete innovazioni rispetto al precedente modello; la maggioranza sembra non apprezzare le specifiche tecniche e le funzioni introdotte, forse perché da Apple ci si aspetta sempre qualcosa in più. Eppure c’è da scommettere che molti fra gli scontenti si diranno comunque favorevoli all’acquisto del fiammante Melafonino, quando a fine mese sarà sugli scaffali italiani.

Il bello del WOM!

In un manuale di tecnica ci vedrei bene un’espressione del genere: la pagina Internet destinata alla conversione sta al SEM come il Word of mouth sta al Web marketing. No?

Detta in soldoni siamo di fronte al vero, principale, ineludibile ostacolo che separa un marketer dal suo obiettivo di e-commerce. Se la gente consiglia l’acquisto bene, altrimenti sarà il caso trovarsi un nuovo e più fortunato cliente.

Apparentemente è la scarsa consapevolezza dell’equazione pareri/vendite che ancora impedisce all’inbound MKTG – unico generatore di WOM – di affermarsi definitivamente nelle stanze direzionali delle imprese. Fatte salve naturalmente altre ragioni che però esulano dal contesto più strettamente professionale e tecnico.

Al proposito ricordo di un manager che – nell’approdare dalla precedente azienda ad una startup concorrente – mi ha chiesto una mano amichevole per organizzare subito una conferenza stampa riservata ai blogger in target (portatori sani di Word of mouth epidemico, spesso inconsapevoli). Se quell’incontro non si fosse tenuto probabilmente nessuno discuterebbe dei nuovi prodotti affidati al neo dirigente, mentre prima ancora dell’effettivo arrivo sul mercato c’è già una buona schiera di utenti online pronti a consigliarne l’acquisto.

Del rapido diffondersi della buona reputazione quell’amico manager è consapevole? E quanto merito accredita al passaparola 2.0 per i primi ordinativi che è già riuscito a piazzare a distributori e grandi catene commerciali? In verità non lo so, perché da tempo non lo sento al telefono. Di certo so soltanto che questo WOM è proprio fico.

Traditional e digital marketing a confronto: 1 a 3

Confronto tra digital marketing e traditional marketing : una sfida impari in alcuni settori di mercato, per convenienza ed efficacia.

Pochi, ma ci sono ancora mercati e settori nei quali il marketing tradizionale la fa da padrone, e continuerà a farlo ancora per un bel pezzo. Sono quelli nei quali il WOM non ha piattaforme sulle quali espandersi. E quelli dove il digital divide non offre alternative.

La campagna marketing con Mago Forest di Daikin Emura

Altrove il confronto tra digital e traditional marketing non ha storia: il primo vince a mani basse. Lo dico non solo per consapevolezza dottrinale, ma per l’esperienza diretta che il lavoro mi offerto in diverse occasioni.

Esempi pratici di confronto tra digital e traditional marketing.

Poniamo l’ipotesi che un’azienda di medie / grandi dimensioni abbia un budget trimestrale notevole: 2 milioni di Euro da spendere in attività promozionali. Le scelte tradizionali potrebbero cadere sulla cartellonistica, la pubblicità in radio, sulle riviste di settore e generaliste, nelle attività di finanziamento e partnership di co-marketing; in questo caso l’importo da spendere garantirebbe una sufficiente visibilità.

Se invece l’azienda desiderasse investire anche in spot televisivi, con tanto di testimonial? Ci sarebbe ben poco da scialare, e la campagna si ridurrebbe ad occasionali apparizioni in TV, per un limitato periodo di tempo.

Due milioni di Euro da spendere in marketing digitale sono al contrario una somma considerevole, capace di garantire risultati sostanziali e duraturi. Con quell’importo sarebbe possibile assoldare una o più agenzie per praticare il MKTG non convenzionale, l’insidering ed il guerrilla marketing, il supporto al marchio come ai prodotti, il customer care online ed il marketing diretto, il social commerce. E poi l’endorsement per fortificare la brand awareness, offerte e sconti, acquisti collettivi. Si potrebbe persino mettere in atto il marketing territoriale, laddove sia utile.

Tempo fa ebbi l’opportunità di valutare un’analisi statistica commissionata ad un’importante agenzia specializzata in ricerche di mercato; rispondeva ad una domanda: “Quale strumento promozionale oggi – nel settore tecnologico consumer – condiziona maggiormente l’acquisto dell’utente finale?“. Le prime voci, in ordine di decrescente importanza, erano blog, passaparola online (WOM e Buzz), forum. Molto più giù in classifica erano riportati: TV, Radio, quotidiani e periodici, cartellonistica.

Non è che ci sia bisogno di darne dimostrazioni, di portare prove a supporto di quella ricerca di mercato: basti pensare alle dinamiche della politica di oggi – Grillo e Di Pietro sono alcuni esempi – per confortare la teoria.

Dunque perché – a condizione che ci siano i presupposti a cui ho accennato – un’impresa dovrebbe scegliere il marketing tradizionale e convenzionale se invece quello digitale è più efficace ed economico?

Le ragioni che ancora spingono le aziende a questa determinazione sono diverse, ma a mio avviso sono poche quelle davvero condizionanti. Una è la diffusa assenza di conoscenza del mezzo, ed il conseguente e legittimo timore nei confronti di strategie promozionali di cui è più arduo verificare il ROI. Spesso poi è la pigrizia che condiziona: praticare il marketing online è impegnativo, richiede il coinvolgimento diretto e personale dell’intera impresa, dei dirigenti e dei dipendenti. Molti dei quali a giusta ragione non devono vedere di buon occhio riunioni serali destinate a spiegare loro quanto è vitale – anche per un impiegato – conoscere strategie e dinamiche di un’attività promozionale che vuol far crescere l’azienda.

In realtà c’è un motivo – personale e non obiettivo – che ben più di altri spinge ancora alcuni dirigenti di grosse / medie imprese a scegliere metodi convenzionali per fare campagna pubblicitaria, rinunciando ai vantaggi del digital marketing. Ma questo è un argomento delicato ed impegnativo, che mi riservo di affrontare in altra occasione.

A proposito: [obiettività=”ON”]

Però è anche vero che occasionalmente ingenti investimenti nel marketing online possono rivelarsi infruttuosi, nonostante i più meritevoli sforzi. Penso alla campagna di Daikin Emura, guidata nel 2011 da Armando Testa e con testimonial il simpatico Mago Forester. L’obiettivo era canalizzare i potenziali acquirenti su di un minisito e quindi sulla pagina Facebook dedicata al climatizzatore.

Per la campagna sono stati investiti 330mila Euro. Sapete quanti “Mi piace” ha ricevuto – ad un anno e mezzo dall’apertura – la pagina Facebook di Daikin Emura? Andate a scoprirlo: resterete sorpresi.

[obiettività=”OFF”]