Il Social Manager è per l’azienda una carta vincente. A patto che sappia conquistarne la fiducia e comprenderne le dinamiche.
Il Social Manager è una figura ormai indispensabile nella comunicazione aziendale. D’altra parte a lui è assegnata la responsabilità strategica e operativa di creare, ottimizzare e gestire i social media, e quindi di cogliere al meglio le preziose opportunità offerte dal digital marketing: branding, pubblicità mirata, acquisizione di nuovi clienti e fidelizzazione dei vecchi, analisi di target e scenari competitivi, etc.
Eppure il Social Manager continua ad incontrare obiettivi ostacoli al legittimo riconoscimento della professionalità, a vedere il suo ruolo definitivamente inquadrato fra i più importanti organi aziendali. Deve ancora confrontarsi – nonostante l’indiscussa intraprendenza della classe dirigente italiana – con diffidenza, scarsa propensione all’innovazione e, in alcuni casi, persino con ingiustificabili e dannose resistenze opposte dagli operatori dell’uscente marketing tradizionale.
Quest’ultimo fenomeno è molto evidente in politica, cartina al tornasole dell’intera società. Si pensi: a fronte della straordinaria affermazione del Movimento 5 Stelle, che ai nuovi media ha affidato in via esclusiva l’intera propaganda della scorsa campagna elettorale, ancora si va sostenendo attraverso dibattiti televisivi ed improbabili analisi sociologiche (commissionate dai media tradizionali) che sì, il social marketing influenza ma “non muove voti”.
Fortunatamente a dare gli ultimi colpi di piccone a demagogia e conservatorismo delle economie aziendali è stata proprio la politica: fatte le dovute proporzioni, un successo paragonabile a quello del M5S oggi può essere raggiunto anche nei mercati, in ogni settore e da qualunque impresa decida di allocare al Web 2.0 sufficienti risorse finanziarie ed umane. Senza dover necessariamente ricorrere al reclutamento di professionisti del calibro di Grillo e Casaleggio, i quali fin d’ora dovremmo tutti imparare a definire – coerentemente con le loro originarie competenze – Social Manager prestati all’agone elettorale.
Passo vincente n. 1: maturare piena consapevolezza delle difficoltà
La prima e forse più impegnativa sfida che un Social Manager si trova ad affrontare in occasione di ogni nuovo incarico è la consapevolezza – interiore prima ancora che esterna – delle potenzialità dei suoi obiettivi. Senza quella piena coscienza risulterà ancora più difficoltoso se non impossibile fronteggiare le immancabili resistenze provenienti dalle stesse aziende.
È strano ma vero: alla figura dell’esperto di network digitali guardano con diffidenza non soltanto i responsabili del marketing di vecchia guardia – umanamente interessati a non condividere tanto i budget quanto il tornaconto professionale. A loro si aggiunge gran parte di tutti i dipendenti, consapevoli che prima o poi il nuovo orientamento digitale li costringerà ad ulteriori impegni. Il che si traduce – soprattutto nelle realtà più strutturate e meno ricche di spirito aziendale – in un indesiderato aumento di lavoro, responsabilità e competenze.
In questo quadro di difficoltà congenite il Social Manager deve muoversi con abilità e diplomazia. Cercando innanzitutto di conquistare la fiducia dei colleghi prima ancora di poter dimostrare il proprio valore ed il comune beneficio derivante dal suo incarico. Quindi dovrà assicurarsi l’indispensabile supporto dei massimi dirigenti, preferibilmente fondato sull’incondizionata fiducia derivante da ottimistiche quanto riscontrabili previsioni del ROI.
Solo così il nuovo responsabile della comunicazione avrà quindi modo di aprire un solido varco tra le diffidenze, tenendole costantemente a bada per impedire che possano ostacolare l’azienda nel processo di ammodernamento.
Mossa n. 2: il Social Manager e la policy aziendale.
Dopo aver coinvolto l’intera impresa nel comune impegno di aprirsi al nuovo mondo, per il Social Manager arriva il momento di trasmettere a colleghi e superiori le regole che disciplinano la realtà digitale.
L’eventualità e le modalità di partecipazione dei dipendenti ai social network, il rigoroso rispetto del “tempo reale” (imprescindibile requisito dei nuovi media di successo), e la sinergia fra tutti i settori della comunicazione aziendale, potranno essere disciplinati attraverso un documento programmatico di facile comprensione chiamato “policy interna”.
Per approntarlo – con la più vasta e proficua partecipazione – il Social Manager dovrà organizzare una riunione allargata ad ogni settore dell’impresa, durante la quale sarà suo compito principale mostrarsi ricettivo rispetto alle esigenze, le aspettative, i suggerimenti e le problematiche di tutti.
Sarà quella l’occasione perfetta per coinvolgere i dipendenti nell’elaborazione di una seconda policy, detta “esterna”, attraverso la quale verrà invece disegnata l’identità digitale dell’azienda. Sarà cioè stabilito in che modo l’impresa dovrà interagire con utenti e clienti, quali messaggi dovrà condividere, quali reazioni potrà considerare auspicabili e quali invece bollerà come indesiderate o addirittura censurabili.
Sia nel primo che nel secondo regolamento il carattere, il temperamento e l’indole dell’azienda dovranno sempre informarsi ai principi della trasparenza, della coerenza, del rispetto reciproco e – valore “laico” troppo spesso trascurato nella redazione delle netiquette – della comune utilità.
Ultima accortezza, n. 3: a chi si rivolge il Social Manager.
Penetrate ed identificate le dinamiche aziendali, assicurato il più diffuso e spontaneo supporto, stabilito un vademecum comportamentale da imporre a sé stesso prima che agli altri, al Social Manager non resta che compiere l’ultimo, fondamentale passo prima di lasciare spazio alle fasi operative: conoscere a fondo il target dell’azienda.
Senza questa premessa sarà ad esempio impossibile progettare, classificare ed integrare i diversi social media meritevoli di presidio, distinguendoli da quelli a cui puntare solo in termini di presenza.
E sarà altrettanto difficoltoso raccogliere ed approntare con efficienza risorse e contenuti coerenti, stabilire altrettanto proficuamente tempistiche e modalità di pubblicazione di aggiornamenti di stato, post e tweet.
Chi è il cliente tipo? Quali sono le sue esigenze, in quale modo possiamo soddisfarle, quali aspettative nutre nei nostri confronti? E poi: quali canali (ed in quali fasce orarie?) sono frequentati più assiduamente da influencer, opinion leader e stakeholders?
Prima che a se stesso, queste domande il Social Manager dovrà rivolgerle a chi ne sa più di lui: al dirigente come alla centralinista, ai commerciali come agli incaricati della logistica. Con buona pace per i responsabili del traditional marketing, la cui esperienza non sarà perciò affatto sminuita ma piuttosto rivalutata con l’avvento del digital marketing.
D’altra parte non è forse la ricerca del più largo consenso, interno ed esterno, uno degli obiettivi primari dei leader di partito? E chi altri è, se non un leader “politico” capace di trascinare e coinvolgere ed ingaggiare gli altri, il Social Manager?
Per altri spunti sull’argomento suggerisco la pagina Web che Wikipedia riserva al Social Media Marketing. Chi invece desidera approfondire il tema direttamente può contattarmi attraverso questo modulo.
Penso che il miglior social manager sia il secondo.
L’innovazione costa soprattutto in termini umani, nel senso che quando si è i primi a traghettare -per necessità aziendale o per attitudine personale- dal fax alla chat su skype c’è poco da coinvolgere: i colleghi ti odiano. Se innovi necessariamente cambi ciò che si era consolidato.
Chi invece sostituisce il poveretto che lo ha preceduto paradossalmente non sarà accusato di nulla e le innovazioni saranno state digerite. In questo senso il secondo avrà la strada più libera e nella maggior parte dei casi si approprierà dei risultati del primo.
Credo che il discorso valga per tutti i fenomeni di innovazione (in particolar quelli a più alto impatto tipo “da domani tutto in rete!” … magari fosse così semplice ), io no sono una social manager -mi occupo di corporate- ma mi sono ritrovata al 1000 per 1000 nel tuo post.
Le stesse identiche difficoltà le ho trovate anche quando ho provato ad organizzare un ufficio fund raising per cercare risorse private per progetti pubblici.
Ciao Marta! Grazie del contributo. :-)
Immagino che nel tuo settore si senta particolarmente l’ostacolo all’innovazione. E credo tu abbia ragione: “il secondo” è avvantaggiato. Della serie: vai avanti tu, che a me viene da … sorridere! ;)