Social Manager di successo. In 3 mosse.

Il Social Manager è per l’azienda una carta vincente. A patto che sappia conquistarne la fiducia e comprenderne le dinamiche.

Il Social Manager è una figura ormai indispensabile nella comunicazione aziendale. D’altra parte a lui è assegnata la responsabilità strategica e operativa di creare, ottimizzare e gestire i social media, e quindi di cogliere al meglio le preziose opportunità offerte dal digital marketing: branding, pubblicità mirata, acquisizione di nuovi clienti e fidelizzazione dei vecchi, analisi di target e scenari competitivi, etc.

Il Social Manager è un moderno condottieroEppure il Social Manager continua ad incontrare obiettivi ostacoli al legittimo riconoscimento della professionalità, a vedere il suo ruolo definitivamente inquadrato fra i più importanti organi aziendali. Deve ancora confrontarsi – nonostante l’indiscussa intraprendenza della classe dirigente italiana – con diffidenza, scarsa propensione all’innovazione e, in alcuni casi, persino con ingiustificabili e dannose resistenze opposte dagli operatori dell’uscente marketing tradizionale.

Quest’ultimo fenomeno è molto evidente in politica, cartina al tornasole dell’intera società. Si pensi: a fronte della straordinaria affermazione del Movimento 5 Stelle, che ai nuovi media ha affidato in via esclusiva l’intera propaganda della scorsa campagna elettorale, ancora si va sostenendo attraverso dibattiti televisivi ed improbabili analisi sociologiche (commissionate dai media tradizionali) che sì, il social marketing influenza ma “non muove voti”.

Fortunatamente a dare gli ultimi colpi di piccone a demagogia e conservatorismo delle economie aziendali è stata proprio la politica: fatte le dovute proporzioni, un successo paragonabile a quello del M5S oggi può essere raggiunto anche nei mercati, in ogni settore e da qualunque impresa decida di allocare al Web 2.0 sufficienti risorse finanziarie ed umane. Senza dover necessariamente ricorrere al reclutamento di professionisti del calibro di Grillo e Casaleggio, i quali fin d’ora dovremmo tutti imparare a definire – coerentemente con le loro originarie competenze – Social Manager prestati all’agone elettorale.

Passo vincente n. 1: maturare piena consapevolezza delle difficoltà

La prima e forse più impegnativa sfida che un Social Manager si trova ad affrontare in occasione di ogni nuovo incarico è la consapevolezza – interiore prima ancora che esterna – delle potenzialità dei suoi obiettivi. Senza quella piena coscienza risulterà ancora più difficoltoso se non impossibile fronteggiare le immancabili resistenze provenienti dalle stesse aziende.

È strano ma vero: alla figura dell’esperto di network digitali guardano con diffidenza non soltanto i responsabili del marketing di vecchia guardia – umanamente interessati a non condividere tanto i budget quanto il tornaconto professionale. A loro si aggiunge gran parte di tutti i dipendenti, consapevoli che prima o poi il nuovo orientamento digitale li costringerà ad ulteriori impegni. Il che si traduce – soprattutto nelle realtà più strutturate e meno ricche di spirito aziendale – in un indesiderato aumento di lavoro, responsabilità e competenze.

In questo quadro di difficoltà congenite il Social Manager deve muoversi con abilità e diplomazia. Cercando innanzitutto di conquistare la fiducia dei colleghi prima ancora di poter dimostrare il proprio valore ed il comune beneficio derivante dal suo incarico. Quindi dovrà assicurarsi l’indispensabile supporto dei massimi dirigenti, preferibilmente fondato sull’incondizionata fiducia derivante da ottimistiche quanto riscontrabili previsioni del ROI.

Solo così il nuovo responsabile della comunicazione avrà quindi modo di aprire un solido varco tra le diffidenze, tenendole costantemente a bada per impedire che possano ostacolare l’azienda nel processo di ammodernamento.

Mossa n. 2: il Social Manager e la policy aziendale.

Dopo aver coinvolto l’intera impresa nel comune impegno di aprirsi al nuovo mondo, per il Social Manager arriva il momento di trasmettere a colleghi e superiori le regole che disciplinano la realtà digitale.

L’eventualità e le modalità di partecipazione dei dipendenti ai social network, il rigoroso rispetto del “tempo reale” (imprescindibile requisito dei nuovi media di successo), e la sinergia fra tutti i settori della comunicazione aziendale, potranno essere disciplinati attraverso un documento programmatico di facile comprensione chiamato “policy interna”.

Per approntarlo – con la più vasta e proficua partecipazione – il Social Manager dovrà organizzare una riunione allargata ad ogni settore dell’impresa, durante la quale sarà suo compito principale mostrarsi ricettivo rispetto alle esigenze, le aspettative, i suggerimenti e le problematiche di tutti.

Sarà quella l’occasione perfetta per coinvolgere i dipendenti nell’elaborazione di una seconda policy, detta “esterna”, attraverso la quale verrà invece disegnata l’identità digitale dell’azienda. Sarà cioè stabilito in che modo l’impresa dovrà interagire con utenti e clienti, quali messaggi dovrà condividere, quali reazioni potrà considerare auspicabili e quali invece bollerà come indesiderate o addirittura censurabili.

Sia nel primo che nel secondo regolamento il carattere, il temperamento e l’indole dell’azienda dovranno sempre informarsi ai principi della trasparenza, della coerenza, del rispetto reciproco e – valore “laico” troppo spesso trascurato nella redazione delle netiquette – della comune utilità.

Ultima accortezza, n. 3: a chi si rivolge il Social Manager.

Penetrate ed identificate le dinamiche aziendali, assicurato il più diffuso e spontaneo supporto, stabilito un vademecum comportamentale da imporre a sé stesso prima che agli altri, al Social Manager non resta che compiere l’ultimo, fondamentale passo prima di lasciare spazio alle fasi operative: conoscere a fondo il target dell’azienda.

Senza questa premessa sarà ad esempio impossibile progettare, classificare ed integrare i diversi social media meritevoli di presidio, distinguendoli da quelli a cui puntare solo in termini di presenza.

E sarà altrettanto difficoltoso raccogliere ed approntare con efficienza risorse e contenuti coerenti, stabilire altrettanto proficuamente tempistiche e modalità di pubblicazione di aggiornamenti di stato, post e tweet.

Chi è il cliente tipo? Quali sono le sue esigenze, in quale modo possiamo soddisfarle, quali aspettative nutre nei nostri confronti? E poi: quali canali (ed in quali fasce orarie?) sono frequentati più assiduamente da influencer, opinion leader e stakeholders?

Prima che a se stesso, queste domande il Social Manager dovrà rivolgerle a chi ne sa più di lui: al dirigente come alla centralinista, ai commerciali come agli incaricati della logistica. Con buona pace per i responsabili del traditional marketing, la cui esperienza non sarà perciò affatto sminuita ma piuttosto rivalutata con l’avvento del digital marketing.

D’altra parte non è forse la ricerca del più largo consenso, interno ed esterno, uno degli obiettivi primari dei leader di partito? E chi altri è, se non un leader “politico” capace di trascinare e coinvolgere ed ingaggiare gli altri, il Social Manager?


Per altri spunti sull’argomento suggerisco la pagina Web che Wikipedia riserva al Social Media Marketing. Chi invece desidera approfondire il tema direttamente può contattarmi attraverso questo modulo.


Dizionario Twitter: 15 neologismi e un’infografica.

Il dizionario Twitter si arricchisce di nuovi termini, curiosi ed efficaci. Un’infografica ne spiega il significato.

Il dizionario Twitter, come quello di Facebook e di altri canali social, non finisce mai di aggiornarsi: sono almeno 15 i termini nati negli ultimi mesi e subito entrati a pieno titolo nella più recente edizione del Twictionary (indispensabile dizionario digitale, da molti ritenuto particolarmente prezioso perché introvabile nelle comuni librerie).

Si tratta di verbi, aggettivi e sostantivi che – a volte con sorprendente efficacia e spesso con mordente ironia – definiscono circostanze, consuetudini e modi d’essere tipici di chi frequenta l’emergente social media.

Click sul dizionario Twitter per aprire l'infografica

Tutte le nuove espressioni gergali integrano scontatamente, anche solo in parte, la radice “Twitter” (dall’inglese to tweet, “cinguettare”). Di conseguenza suonano come “anglofone”, ma non per questo c’è di che preoccuparsi: sono comunque comprensibili anche da chi non conosce la lingua, ed in ogni caso è disponibile una divertente infografica che ne spiega il significato.

Sfogliamo dunque, una ad una e con un tentato filo di umorismo, tutte le new-entry del dizionario Twitter!

Dizionario Twitter: Attwicted, BOM e Detweeted.

  1. Attwicted: l’addicted di Twitter. Letteralmente: “schiavo di” o, più benevolmente, appassionato di Twitter. Si riconosce per la capacità di condividere le foto della prima colazione con la stessa soddisfatta enfasi che caratterizza un neo papà mentre mostra l’album del primogenito.
  2. Detweeted: un tweet abortito, cancellato prima ancora di essere pubblicato. La circostanza è particolarmente comune fra gli attwicted, soprattutto quando a colazione mangiano i biscotti comprati al discount. Secondo un diffuso parere il dizionario Twitter dovrebbe riservare alla parola un posto di rilievo, anche per fini educativi.
  3. BOM: Bird-Of-Mouth, il passaparola di chi cinguetta. Parodistica revisione del termine WOM, Word-Of-Mouth, con il quale nel marketing si definisce l’attitudine dei clienti a trasmettersi l’un l’altro il giudizio su prodotti e brand.

Dizionario Twitter per Dweet, PTT e Politweet.

  1. Dweet: il messaggio incomprensibile lanciato da chi si trova in evidente stato confusionale. Generalmente scritto e condiviso da chi ha alzato un po’ troppo il gomito, in ore serali. Qualora appaia anche in altri momenti della giornata per il suo autore è ragionevole ipotizzare l’imminente e definitivo crollo del Klout score.
  2. PTT: Peak Tweet Time. Indica la migliore fascia oraria per pubblicare un tweet e garantirgli la massima visibilità. È il periodo – tanto caro ai social manager – nel quale l’attenzione degli utenti è particolarmente alta.
  3. Politweet: qualunque cosa venga scritta col chiaro intento di offendere o provocare i simpatizzanti di uno schieramento politico. La prassi è di consueto accreditabile al troll, figura tristemente nota e diffusa ben prima che il dizionario Twitter fosse in concepimento.

Ancora: Repeatweet, Twalker, Twantrum.

  1. Repeatweet: il tweet pubblicato pubblicato pubblicato pubblicato pubblicato pubblicato diverse volte nell’arco della stessa giornata. Odiosa pratica agli occhi di quegli utenti che non apprezzano i social manager ma ne sono follower consapevolmente fieri, preziosa opportunità per chi col social marketing ci campa.
  2. Twalker: colui che crea un account col precipuo scopo di fare stalking a danno di qualcun altro. Brutta gente, insomma.
  3. Twantrum: l’invettiva, lo scatto d’ira o – peggio – la filippica o la reprimenda che sa risultare persino più fastidiosa del solito. Alcuni utenti credono di poter sfruttare il twantrum per attaccare una celebrità o un’azienda con l’implicito intento di ottenere risposta e quindi mettersi in mostra. Il termine è inesorabilmente destinato a scomparire dal dizionario Twitter.

Tweet Cred, Tweetup, Twillionaire.

  1. Tweet Cred: l’approvazione, l’encomio ricevuto da una persona nota. L’ingresso dell’espressione nel dizionario Twitter è stato promosso con forza da chi vive e si ciba di Klout score.
  2. Tweetup: ne abbiamo parlato a proposito delle soluzioni per aumentare i follower Twitter. Si tratta di un’alternativa apparentemente meno vintage della celebri chat-pizze, incontri conviviali finalizzati al social networking. È l’occasione per prendere definitivamente atto che le foto del profilo non sono veritiere, e che chi organizza l’evento di solito si accorda col ristoratore per non pagare il conto.
  3. Twillionaire: colui che è riuscito ad arricchirsi (non solo di follower) grazie alla celebrità conquistata cinguettando. Non ne conosco, e mi affido a voi e ai vostri commenti per poter indicare in questo post alcuni esempi.

Ultimi neologismi del dizionario Twitter.

Ecco le tre nuove parole che occupano i posti in coda – secondo l’ordine alfabetico rispettato fin qui – nel dizionario Twitter.

  1. Twitterati: vanta moltissimi follower, e tutti vorrebbero essere suoi following. È la star, di quelle che ricevono migliaia di retweet anche se postano – seppure col loro impareggiabile stile – la ricetta dell’uovo sodo.
  2. Twypo: un tipo di refuso che causa lo stravolgimento – talvolta grottesco – del significato di una frase. Un notevole esempio l’ha fornito recentemente in TV Armando Sommajuolo, che nel condurre un TG LA7 ha scambiato la “u” per la “i” nel fare la cronaca della “fuga di Assad”.
  3. Twurvey: il sondaggio, il “survey”, strumento suggerito da tutti i manuali dei giovani social manager.

L’elenco di neologismi è finito, vi lascio ad un approfondimento dell’infografica (che contiene i riferimenti alla fonte). Ma prima una domanda:

voi conoscete altri termini che non sono contemplati in questo aggiornamento del dizionario Twitter?

Aumentare i follower Twitter. Averne tanti, subito!

Aumentare i follower Twitter? Facile e veloce: basta seguire pochi suggerimenti per moltiplicare gli amici in follower, e viceversa.

Aumentare i follower Twitter è un desiderio diffuso. D’altra parte cinguettare è una soluzione fantastica per condividere interessi e passioni, e non c’è nulla di strano nell’aspirare ad un’ampia cerchia di contatti ed amici con i quali interagire quotidianamente.

In più Twitter è uno strumento di comunicazione che va dritto al cuore della gente, perché è uno dei pochi social media per i quali “essere” è ben più importante che “apparire” ed “avere” (se non una tastiera, e qualcosa da dire).

Per la stessa ragione conversare in 140 caratteri piace tanto anche alle aziende: consente loro di gestire WOM e buzz, raccogliere feedback e promuovere prodotti, fare branding ed engagement con i clienti. I quali a loro volta sono ben felici di interagire con le imprese, di poterle direttamente richiamare alle proprie responsabilità, di sentirsi “ascoltati”.

Aumentare i follower Twitter con ogni mezzo

Torniamo all’esigenza di possedere un cospicuo numero di follower Twitter: se io non ne ho neanche uno, o ne ho pochissimi, con chi mi confronto? Oppure, se rappresento un’azienda, chi mi illudo di poter “ingaggiare”? Ecco allora alcuni suggerimenti, rapidi e concreti, che in poco tempo permettono di incrementare notevolmente le relazioni online.

Funzionano davvero? – vi state probabilmente chiedendo. La risposta è: verificate subito, sperimentate immediatamente la prima delle indicazioni che sto per darvi. Attraverso il pulsante a sinistra condividete questo post: a stretto giro io stesso sarò tra i vostri follower, con il mio account @googlepolicyit. C’è un’alternativa, altrettanto efficace, che ho messo da parte per voi come ultimo consiglio.

Conviene comprare follower Twitter?

Alcune persone ritengono utile e legittimo aumentare i follower Twitter acquistandoli online. Io non sono tra quelle, per ragioni che non hanno nulla a che vedere con principi etici e morali. I motivi sono altri e ve li spiego.

Immaginate di essere soli sul palco di un grande teatro, davanti ad una platea gremita all’inverosimile: qual è la cosa più brutta che può capitarvi? Che il pubblico si metta a ridere di voi? C’è un’ipotesi peggiore: per quanto vi sforziate di attirare l’attenzione la gente resta impassibile, assente, muta! Per poi improvvisamente risvegliarsi e con ferocia ricoprirvi di insulti, fischi ed ortaggi.

Ecco: questo è quel che generalmente capita a chi compra online follower Twitter. O a chi li riceve in dono e a sua insaputa, come di recente è capitato ad un noto esponente politico. Per quanto numerosi, quegli inanimati account restano lì immobili qualunque cosa facciate e diciate. Salvo poi diventare implacabili testimoni quando qualcuno in carne ed ossa (si fa per dire) deciderà di smascherare il vostro inganno e sbandierarlo ai quattro venti.

È però altrettanto vero – inutile nasconderlo – che il poter vantare una nutrita schiera di follower Twitter può senz’altro favorire il reclutamento di nuovi. Sì, perché chiunque è portato a pensare che una persona particolarmente seguita ha certamente cose interessanti da dire. Allora come se ne esce?

Prepararsi al primo incontro.

I follower Twitter sono umani (a meno appunto di averli comprati, e allora sono bot): anche a loro succede di farsi un’idea più o meno realistica delle altre persone in occasione dal primo approccio. E sarà proprio questa impressione a determinare l’eventualità di futuri incontri, o ad escludere (salvo improbabili ripensamenti) l’ipotesi che possa nascere un duraturo legame di frequentazione.

Perciò è bene, se non indispensabile, mettere a punto un profilo degno di noi e delle nostre aspettative. Come? Seguendo questi pochi e semplici passi:

Come impostare il profilo per aumentare i follower Twitter

  1. Carichiamo una foto accattivante come immagine del nostro profilo.
    1. Scegliamone una che si discosti il più possibile da quella che abbiamo incollato su patente e carta d’identità: il “formato tessera” va bene solo in termini di dimensioni.
    2. Se riteniamo che il nostro sorriso non sia all’altezza della nostra anima e del nostro intelletto non è necessario ricorrere a Photoshop; si può ovviare con un avatar il più possibile rappresentativo della nostra personalità. Ai nostri follower Twitter piacerà ugualmente.
    3. L’azienda avrà compito più facile: il logo dovrebbe pienamente prestarsi allo scopo.
  2. Lavoriamo sull’intestazione, rendendola unica.
    1. Compiliamo per benino tutti i campi Nome (che non dev’essere necessariamente identico alla sigla dell’account), Posizione, Sito Web e Bio.
    2. Se sia o meno opportuno usare hashtag nella “bio” è questione controversa; io per il momento propendo per il no.
    3. Se desideriamo citare altri link, oltre quello indicato nello spazio ad hoc, riportiamoli per esteso (la gente è più propensa a cliccare su destinazioni riconoscibili, e questo vale anche per gli aggiornamenti di stato su Facebook).
    4. Secondo alcuni luminari invitare a fare click sul link al blog o allo spazio Web aziendale, attraverso una CTA (call to action), è indispensabile per incentivare il follow (oltre che per incrementare i lead): ad esempio “Vieni a trovarmi sul sito!”. Va da sé che lo stratagemma è opportuno solo nel caso in cui disponiamo di qualcosa di utile e bello da mostrare, altrimenti la soluzione non farà altro che procurare un rimbalzo al quale è difficile porre successivamente rimedio.
    5. Inseriamo un’altra foto, anche questa simpatica ed originale, come sfondo dell’intestazione. Potrà ad esempio fare al nostro caso una simile a quella contenuta nello screenshot in alto. Oppure una che rappresenti voi ed il vostro mondo ed i vostri interessi o, nel caso di un’impresa, il mercato di riferimento. In alternativa potreste divertirvi a creare un collage, naturalmente significativo quanto grazioso (occhio però a non perdere il contrasto tra l’immagine di sfondo ed il testo contenuto nella Bio).
  3. Cerchiamo o elaboriamo un “wallpaper” (background) per il nostro account. Se però non abbiamo dimestichezza col photo editing e non troviamo nulla che ci rappresenti davvero, scegliamo pure un colore uniforme che faccia pendant con intestazione e immagine del profilo.

Se volete approfondire l’argomento, e magari desiderate anche un tutorial su come realizzare tecnicamente le modifiche, suggerisco l’eccellente post che un autorevole blog ha dedicato proprio alle soluzioni per migliorare l’intestazione di Twitter.

Aumentare i follower Twitter: si fa sul serio.

Siamo arrivati al dunque: mettete in pratica tutti o buona parte dei suggerimenti elencati a seguire, e vedrete che in breve avrete molti più follower Twitter di quanto sperate. Cominciamo con l’attività di promozione, on e offline.

  1. Approntate più liste di persone che val la pena ascoltare. Quindi offritele in dono al mondo, dentro e fuori Twitter. Ad esempio: “Ho creato una lista di esperti in tema di #SEO: se vi piace usatela anche voi. ;)”
  2. Possibilmente inserite anche me in quella lista.
  3. Cercate sul Web potenziali interlocutori che nutrono i vostri stessi interessi, qualunque essi siano. Quindi contattateli e avviate un rapporto.
  4. Quando amici, conoscenti e parenti vi chiedono come trovarvi su Facebook, voi proponetegli anche di cinguettare.
  5. Se possedete un’azienda diffondete la voce tra dipendenti e clienti.
  6. Usate altri social media, ai quali siete già iscritti, per fare reclutamento.
  7. Non c’è posto migliore dei forum per trovare nuovi follower: aprite un topic in cui si parli, per un motivo o per un altro, di Twitter. E non scordate di indicare il vostro riferimento nella firma.
  8. Fate lo stesso per la vostra impresa, piccola o grande che sia. Incaricando, ovviamente, terze persone (si chiama seeding, lo so).
  9. Inserite sul vostro blog, se ne avete uno, un link molto evidente al vostro account. Con l’espresso invito a diventare follower Twitter, così da potersi tenere sempre aggiornati.
  10. Pubblicate sul sito personale, o anche su quello aziendale, un post come questo. ;)
  11. Sempre sul vostro sito, se vi è possibile installate un widget con lo streaming dei messaggi di chi vi segue: un’ulteriore occasione offerta a loro per mettersi in mostra e per avervi in simpatia. Di soluzioni già pronte all’uso, per piattaforme come WordPress e Joomla!, ce ne sono diverse.

Ed ora le buone prassi da rispettare nelle interazioni.

  1. Ascoltate i following e partecipate alle loro discussioni, esprimendo il vostro parere e contribuendo con argomenti rilevanti.
  2. Rispettate la buona abitudine, naturalmente, anche con i follower Twitter.
  3. Usate gli hashtag per tutti i topic di vostro interesse, anche se non rientrano nelle hit-parade.
  4. Nel vostro campo siete voi gli esperti: proponetevi come una risorsa, condividendo con costanza spunti e fonti di approfondimento.
  5. Se non avete tempo o pazienza sufficiente per pubblicare messaggi con discreta frequenza, usate applicazioni che ne consentono la programmazione (TweetDeck, ad esempio, o su smartphone l’ottimo TweetCaster).
  6. Individuate persone influenti ed interagite con loro. Gli influencer non sono necessariamente coloro che hanno tanti follower Twitter (potrebbero averli comprati!), ma chi riceve numerosi retweet e menzioni.
  7. Per facilitarvi nel lavoro indicato al punto precedente usate lo strumento di misurazione offerto da Klout.com (a sua volta integrato in gestionali per il social media marketing, come il notissimo HootSuite).
  8. Nel creare le liste, abbiate cura di selezionare gli utenti per rigorosa associazione in base a specifici argomenti: la gente è tendenzialmente pigra ed è più propensa a far suo un elenco di account già ottimizzato, piuttosto che crearne uno ex novo.
  9. Scoprite chi è più in gamba di voi e studiatene il comportamento: abbiamo tutti da imparare.

Creatività e ingegno pagano.

  1. Cercate coloro che più di altri praticano il retweet. È sufficiente usare la funzione Search con le keyword “RT” e “#vostrotrendpreferito”. Quindi diventate loro follower Twitter, nella speranza che ricambino.
  2. A vostra volta retwittate con disinvoltura: molti utenti risponderanno alle vostre attenzioni iniziando a seguirvi.
  3. Organizzate un feed RSS con fonti pertinenti alle vostre competenze: sarà una risorsa inesauribile per citare nuovi articoli.
  4. Utilizzate ancora la ricerca per trovare tweet contenenti le keyword sulle quali siete forti, e buttatevi nella discussione.
  5. Pubblicate foto e video: sono quelli che attirano maggiormente l’attenzione. E nuovi follower Twitter.
  6. Su Twitter le informazioni hanno vita breve: per diffonderle scegliete l’ora in cui vi sembra ci sia maggior traffico.
  7. Mi pare non siano più tanto in voga, ma se ne trovate qualcuno (su Google con le opportune keyword) partecipate! Parlo dei “tweetup”, che più o meno corrispondono alle antiche “chat pizze”, cioè incontri conviviali destinati a conoscere di persona la gente che incontri online.
  8. Partecipate anche ai “Twitter group”: scovateli, ovunque siano sul Web.
  9. Non lasciatevi sfuggire le principali “tendenze” del giorno, ed intrufolatevi a condizione che abbiate davvero qualcosa da dire. Cioè, per favore non usate scorciatoie del tipo: “Ehi! # vattelapesca è tra i primi # trend del giorno!!!”. Perché tanto in questo modo non ricaverete un ragno dal buco, e tanto meno nuovi follower Twitter.
  10. Seguite i calendari di spettacoli, concerti, cinema, e twittate a proposito di novità e anteprime.
  11. Mi costa dirlo, ma tant’è: se vi piacciono gli show televisivi sappiate che sono quelli che più di altri originano tendenze. Però prendetene atto: MasterChef è finito, c’è da aspettare la prossima edizione.

I consigli non sono finiti, il post quasi.

Ovviamente non posso garantirvi il successo, ma davvero credo che con un po’ di impegno riuscirete ad avere un soddisfacente numero di follower seguendo i suggerimenti che ho appena finito di elencare. Tuttavia, nell’ipotesi in cui le cose non dovessero andare come spero, ho in serbo per voi gli ultimi due “tips”.

Fra i trend cercate “followback” o keyword simili: è pieno di gente che non vede l’ora di diventare l’uno follower Twitter dell’altro. Magari però tentate un minimo di selezione: che almeno siano italiani, e soprattutto che non si tratti di bot.

Infine: create una lista pubblica riservata alle persone più rilevanti nel vostro settore, e datele un nome accattivante. Ad esempio: “Gente davvero simpatica”, e condite la descrizione con altri complimenti più o meno espressi. Appena verrà citato nell’elenco, il possessore del fortunato account riceverà una notifica: se non ha un cuore di pietra, diventerà subito vostro amico.

E voi, conoscete altre soluzione per aumentare i follower Twitter?

Social media: 25 buoni motivi per NON usarli

I social media hanno un fascino irresistibile, ma dopo una lunga esperienza professionale ho capito: non servono a niente.

Per i social media ho sacrificato anni di lavoro, passione e diottrie, e qualche volta ho dovuto trascurare affetti e persino il sonno. Ma ora basta: domani non mi ritroverò un’altra volta vittima dei presenzialisti di Twitter, ricurvo dietro un blog ancora da svezzare, stremato dal confronto con un dirigente dal braccino corto, frustrato dal pubblicare anonimamente i miei aggiornamenti di stato su di una pagina Facebook aziendale che mia non è. Nel modo più determinato e definitivo che posso, dico: ti lascio, Web 2.0!

Certo, non posso affermare che i social media siano stati con me ingenerosi, che non mi abbiano dispensato belle soddisfazioni per ricambiare il devoto impegno. Credete forse che non sia consapevole di quale nostalgia si accompagnerà al ricordo di quelle volte che ho potuto bannare utenti, io privilegiato giudice supremo di comunità digitali, senza per questo provare rimorsi? Pensate che a mia volta non sappia essere riconoscente nei confronti di quei dirigenti che, lasciandosi irretire dalle mie argomentazioni nell’illusione di poter incrementare con i social media lead e conversioni, hanno voluto riempire tanto il mio portafogli quanto il mio orgoglio professionale?

10 anni di social media non fanno un Ernesto

Il perché di una definitiva conversione.

Proprio il maturo equilibrio tra simpatia e sofferenza che oramai nutro nei confronti di Internet, così come il sentirmi serenamente libero di manifestare quegli opposti sentimenti, mi rende umanamente certo di aver fatto la scelta giusta: è arrivato il tempo di cambiare lavoro. E di vuotare il sacco: i social media non portano a nulla, tanto le persone quanto le aziende. Credeteci, se a dirlo è chi fino a ieri si lambiccava per convincere imprenditori e manager della loro utilità e della loro efficacia.

Così è, se vi pare: i colleghi non s’aspettino le mie scuse, perché tanto sapranno bene loro come sottrarre all’attenzione di SERP, pubblica opinione e datori di lavoro quel che sto per dire. Nel congedare questa mia esperienza lavorativa ed esistenziale, in attesa di chissà quale futuro e meno sacrificante impiego, ho deciso di raccogliere qui 25 dettagliate ragioni per tenere lontani i social media.

Sappiate che non ho la pretesa di convincere alcuno, ma piuttosto la modestia di considerare l’elenco tutt’altro che esaustivo. D’altra parte non è sicuramente tutta farina del mio sacco, anzi: colgo l’occasione per ringraziare i responsabili d’azienda con i quali mi sono confrontato in questi ultimi anni, perché sono stati proprio loro a fornire gran parte delle seguenti motivazioni, per la mia e la vostra utilità.

25 motivi per trattare i social media come la peste.

Non date retta ai marketer, tenete lontani dai social media voi e la vostra azienda se vi riconoscente anche solo in parte in queste legittime, sane e condivisibili prospettive.

  1. Il Web 2.0 è ancora immaturo. Aspetto la terza edizione.
  2. Non sono alla ricerca di strumenti promozionali dall’ottimo rapporto tra costi e ricavi.
  3. L’hashtag è una specie di negozio virtuale?
  4. L’agenzia di marketing ha promesso a me e al capo un viaggio a Cuba in cambio degli investimenti in cartellonistica.
  5. Ascoltarmi? La gente deve comprare i miei prodotti, mica sentirmi cantare sui social media!
  6. Ciò che non si tocca non si compra.
  7. Non aprirò account sui social media perché provo un sottile piacere nel dare ai concorrenti un qualche vantaggio in partenza.
  8. Di teoria del passaparola ne parlava mio nonno.
  9. Ma lei mi vede a cinguettare?
  10. I sondaggi li lascio alla politica.
  11. Dicono che Facebook mette a rischio i matrimoni.
  12. Se mi vogliono mi trovano sulle Pagine Gialle. E pure su quelle Bianche.
  13. Io mi sono fatto da solo, senza l’aiuto di nessuno, e non ho amici. Vuole che incominci adesso?
  14. Non ho alcun interesse ad essere rintracciabile sempre e ovunque. C’è la mia segretaria per le piccole faccende.
  15. Mi piace un sacco investire migliaia di Euro su quei media di cui non posso misurare l’efficacia.
  16. Assegno valore inestimabile alla privacy.
  17. Ci manca solo che mi metta a dar retta a ciò che i miei clienti vorrebbero dirmi!
  18. E poi di clienti ne ho già fin troppi.
  19. La gente è invidiosa per natura: già li vedo lì pronti a sparlare di me su Facebook.
  20. Il mio tempo è prezioso, le chat le lasci a mio nipote.
  21. I social media sono una tendenza passeggera.
  22. Preferisco le cose semplici, non complicate come Facebook, Twitter e tutta quella roba 2.0.
  23. Io sono una persona vera: non credo affatto in quei finti network online.
  24. I social media sono pieni di gente che non ha niente di meglio da fare che sprecare il proprio tempo.
  25. Disdegno l’idea di potermi ritrovare al centro dell’attenzione.

Oltre che ai manager di cui sopra, nello stilare questo elenco mi sono liberamente ispirato ad un post di un noto blogger statunitense. Lui però non ha deciso, almeno non ancora, di abbandonare i social media. Qualcuno di voi vuol mettersi in società per aprire un agriturismo?

Google+ supera Twitter: 2° social media nel mondo

Google+ è il secondo social media più frequentato al mondo; al primo posto regna Facebook, Twitter solo quarto dopo Youtube.

Che con Google+ quelli di Mountain View facessero sul serio si era capito fin da subito. Ma che ad un anno e mezzo dal lancio il social media sarebbe persino riuscito a raggiungere il secondo posto fra i network online più frequentati al mondo, superando Youtube e Twitter (rispettivamente terzo e quarto a poche misure di distanza fra loro), forse nessuno ci avrebbe scommesso un soldo.

Scontatamente al primo posto per numero di frequentazioni resta ancora Facebook, da anni in fuga rispetto ai concorrenti: accedono al network ogni mese quasi settecento milioni di “liker”, pari a circa il doppio di Google+ che si attesta a 343 milioni di utenti mensili.

Google+ supera Twitter

La classifica appena riportata – pubblicata da un’agenzia londinese di buon credito e specializzata nel Web – si rifà all’ultimo trimestre del 2012, arco temporale di riferimento per analisi e consuntivi già pubblicati e in via di elaborazione. I dati hanno valore internazionale: il campione rappresenterebbe il 90% dell’intera popolazione mondiale.

In crescita tutti i principali social media.

Ma c’è anche un altro tipo di competizione che interessa i social media: il tasso di crescita. Ed in questa gara è Twitter ad aggiudicarsi il primo posto, con un incremento su base trimestrale del 40% di persone a cui piace cinguettare. I suoi utenti mensili sono 288 milioni, equivalenti al 21% dei naviganti.

Nella speciale classifica Facebook si tiene nel gruppo di testa, con un aumento superiore al 30%. Resta straordinario il numero di utilizzatori: una persona su due, fra quelle che in tutto il Pianeta hanno accesso ad Internet, ha un account sul canale creato da Mark Zuckeberg. A stretto giro segue Google+ con il 25% di incremento e lo “share” del 25%.

Se lievita il consenso anche per Pinterest e Linkedin, numeri negativi si registrano invece nei social media di portata locale, schiacciati dalla concorrenza dei colossi internazionali. Gli utilizzatori dell’uscente Badoo, ed in particolare quelli che tramite Facebook ti chiedono se hai mai desiderato portare a letto una reciproca amica, si ritengano avvisati.

Le ragioni del successo di Google+

I motivi di un’escalation così clamorosa per la piattaforma inventata da BigG sono a mio avviso due. Il primo ha senz’altro a che fare con la crescita geometrica dei possessori di smartphone basati su sistema operativo firmato Google. Volenti o nolenti, prima o poi tutti coloro che usano un dispositivo Android si ritrovano come per magia attivi anche su Google+.

In realtà il discorso vale ugualmente per computer, notebook e tablet, come d’altra parte sostengono anche gli autori della statistica: sul network di Mountain View ci finiscono tutte le persone che abbiano creato un account Google per usare qualunque degli ulteriori servizi offerti: Gmail, Documenti, Drive, Calendar, Maps e altri. È stata dunque anche la sinergia fra le applicazioni di BigG a garantire all’ultimo nato l’esponenziale crescita registrata.

Tra l’altro il possedere un account su Google+ fa bene ai sempre più numerosi autori di blog personali: a detta di molti tecnici della SEO è indispensabile possederne uno per favorire la visibilità sui motori di ricerca, tanto in termini di posizionamento quanto nella possibilità di catturare l’attenzione attraverso i “rich snippet” (per intenderci, quelli che ad esempio al fianco di un risultato mostrano la foto dell’autore del relativo contenuto).

Rendiamo onore al merito.

Twitter cresce notevolmente, e probabilmente riuscirà in futuro anche ad accelerare ulteriormente il passo attraverso i nuovi servizi proposti (Vine, ad esempio). A Google+ può dirsi tutto, ma c’è da scommettere che d’ora in poi nessuno più si permetterà di appellarlo come “città invisibile”: è lì che gongola sul secondo gradino del podio,  facendo bella mostra della medaglia di bronzo appena conquistata.

Però al primo posto, apparentemente inarrivabile, resta Facebook. Che che se da un canto può vantare – come i diretti concorrenti – un alto tasso di crescita, oltre che un elevatissimo numero di frequentatori attivi al mese, dall’altro regna incontrastato nella graduatoria principe: la quantità totale di user. In questo la ricerca statistica che abbiamo appena esaminato parla chiaro: sul network ci bazzicano in totale – seppure non sempre con gran frequenza – circa un miliardo di persone.

In definitiva: da qualunque prospettiva si guardi ai dati, per Google+, Twitter ed altri social media emergenti la strada per impensierire Facebook appare ancora molto, molto lunga. Che dite: mi sbaglio?

Fonte.

Social curriculum e modulo curriculum europeo [infografica]

L’unione tra social curriculum – sempre più ricercato dai cacciatori di teste – e curriculum europeo (Europass), è il segreto per trovare lavoro. Credo.

Se un buon curriculum è l’arma più affilata per trovare un impiego, l’uso combinato di social curriculum e modulo europeo (Europass) costituisce un intero arsenale. Così almeno viene da pensare leggendo una recente e golosa infografica che raccoglie statistiche e sondaggi di autorevoli fonti, come Time e Forbes.

Cos’è il social curriculum? È la raccolta più o meno organica di informazioni integrate in un profilo personale online, come Facebook, Google+ e compagnia bella, destinato a favorire eventuali assunzioni. Tra il 2011 ed il 2012 sembra sia diventato uno gli strumenti più utilizzati dai cacciatori di teste nell’inseguire le prede:

  1. Lo scorso anno il 93% delle aziende e degli head hunter ha fatto ricorso a Linkedin per reclutare dirigenti ed impiegati.
  2. Il 66% dei “recruiter” ha ravanato su Facebook per lo stesso scopo, il 54% su Twitter.
  3. Sempre nel 2012, più di quattro persone su dieci hanno cercato impiego tramite i social media.

Usare assieme social curriculum e modulo curriculum europeo

Modulo curriculum europeo.

Se ora è finalmente più chiaro – perlomeno a me – cos’è il social curriculum, è il momento giusto per parlare di modulo curriculum europeo. Chiamato Europass, altri non è che una specie di codifica approntata dalla UE per guidare i job seeker nella compilazione dell’elenco delle competenze e delle qualifiche professionali, secondo uno schema “omologato” e dunque facilmente comprensibile da qualunque impresa occidentale (se non mondiale). Composto di cinque distinti modelli, di semplice compilazione e comunque supportati da dettagliate guide, è gratuitamente disponibile per il download presso il sito Web ufficiale europa.eu.

Fra i diversi moduli c’è il “Passaporto delle lingue”, che consiste in una sorta di autocertificazione sulla conoscenza dell’inglese, del francese, del tedesco e di altri idiomi stranieri. Il sistema di autovalutazione permette di dichiarare la propria abilità linguistica attraverso tre diverse classificazioni: “comprensione”, “parlato” e “scritto”.

Un metodo simile, solo un pizzico più articolato, viene utilizzato in un altro modello per qualificare il percorso di formazione; ad ogni livello scolastico corrispondono precisi codici, legati tanto al grado quanto all’indirizzo dell’istruzione maturata. Infine c’è lo strumento chiamato “Europass mobilità“, che aiuta nel declinare le competenze eventualmente acquisite all’estero.

Il social curriculum: chi, come e perché.

Se il modulo europeo è oramai lo standard per compilare un curriculum, ed il social curriculum è tra le vie brevi perché le nostre referenze raggiungano i reclutatori, allora è chiaro che di entrambi non si può più fare a meno.  Torniamo quindi all’infografica e lasciamoci guidare dalle sue statistiche e dai suggerimenti, alcuni dei quali in verità solo un pizzico scontati:

  1. In che modo il social curriculum può favorire le candidature per specifici settori lavorativi?
    1. Offre una chiara ed efficace esposizione di competenze ed esperienze.
    2. Favorisce l’accesso a reti professionali.
    3. Permette la pubblicazione di elenchi facilmente ed immediatamente aggiornabili.
    4. Consente di riscontrare la visibilità dei dati attraverso le statistiche sui lead (numero di visite, origini del contatto, etc.).
  2. Quali social media utilizzare?
    1. Linkedin è nato per i professionisti, quindi meglio si presta a trovare lavoro. Tanto più che agevola le aziende nella ricerca di candidati per keyword, settori industriali, gruppi e network.
    2. Tumblr, WordPress ed altri siti come Blogger, consentono la pubblicazione di blog a costo zero dove promuovere il proprio curriculum (social, appunto).
    3. Twitter e Facebook permettono di evidenziare le competenze, di stringere contatti diretti con le imprese, e di attingere immediatamente alle eventuali offerte di lavoro (sempre più spesso pubblicate attraverso i social media).
  3. Qual è il social curriculum preferito dai cacciatori di teste?
    1. Secondo chi ne sa di più, il social curriculum ideale dovrebbe indicare – fra l’elenco di qualifiche e idoneità – anche l’appartenenza ad un’associazione professionale. Nel caso risulti impossibile, pare sia comunque molto ben vista l’esplicita partecipazione ad attività di volontariato (motivo di merito in ogni caso).
    2. È davvero ovvio ciò che invece non deve apparire per nessuna ragione al mondo sui profili di Facebook, Twitter & Co. Ribadirlo, però, male non farà: è d’obbligo tenere lontani errori grammaticali, espressioni volgari, simpatie per droghe ed alcolici, e finanche post di carattere religioso (a meno di volere un posto come guardia svizzera o custode di moschea).

Sei influente? Dimostralo, creativamente!

Se si ritiene di possedere buone doti di authority ed influencing sui social media è assolutamente necessario farne menzione nel curriculum. Come? Ad esempio dichiarando il proprio Klout Score, strumento di valutazione degli account Twitter tanto odiato quanto diffusamente affermato. Se proprio non dovesse piacervi è sempre possibile usare in alternativa Twitalyzer, ma non ci si illuda che goda della stessa considerazione.

Ovviamente essere autori di un blog molto frequentato, e costantemente citato su Pinterest, Digg, Google+ ed altre community online, significa disporre di un biglietto da visita davvero prezioso. I meno fortunati, i cui post vengano puntualmente snobbati dai social media, è bene che almeno si diano da fare su Linkedin, dove un cospicuo numero di “collegamenti”, raccomandazioni ed eventuali endorsement pare valga più di un master alla Harvard University.

Il modo ideale per rappresentare il proprio social curriculum è quello di renderlo accattivante ricorrendo a soluzioni creative ed originali. È il caso, ad esempio, di chi ha affidato ad una divertente infografica l’elenco dei titoli di studio e delle esperienze professionali. O di chi, attraverso un sapiente uso di Photoshop, ha incollato quelle informazioni sulla confezione Tetrapak di un succo di frutta, al posto della lista degli ingredienti e delle componenti organiche. C’è persino chi ha modellato il layout del proprio curriculum sul look di Google Analytics, e l’idea mi piace talmente tanto che penso la farò presto mia.

Aggiornamento: proprio in queste ore un giovane parigino disoccupato ha pubblicato il suo curriculum su di un fake-site di Amazon approntato per l’occasione; l’unico prodotto da inserire nel carrello – con tanto di prezzi e dettagli sulla spedizione – è lui, “ultimo pezzo rimasto”. Non passerà inosservato.

Social media ed Europass aiutano davvero a trovare occupazione?

Anche a rischio di sembrare un po’ choosy, prima di chiudere questo post vorrei chiedervi se conoscete ricchi datori di lavoro alla ricerca di social media manager cui affidarsi ciecamente, che accettino qualunque richiesta di budget senza batter ciglio, e che siano disposti ad eleggervi al contempo project manager, revisori di progetto e analisti del ROI.

In attesa della risposta passerei quindi all’ultimo punto dell’infografica: il social curriculum può davvero favorire la ricerca di impiego? A dar fiducia ai dati forniti direi di sì: lo scorso anno l’89% degli head hunter ha effettuato assunzioni tramite Linkedin almeno una volta, il 25% lo ha fatto attraverso Facebook, il 15% per mezzo di Twitter. C’è da scommettere che gran parte dei candidati vincenti avesse generosamente disseminato lungo gli account social la bella copia del proprio modulo curriculum europeo.

Curiosità: chi di voi ha già pubblicato un social curriculum, magari Europass? E poi: vi è mai capitato davvero di incontrare un dirigente che eroga finanziamenti marketing senza obiettare?

Twitter, politica e comunicazione: il punto di svolta.

Twitter offre alla politica l’opportunità di esaltare la comunicazione, guidare l’informazione, generare consenso e persino elaborare proiezioni.

È sorprendente come Twitter, ormai uno dei più praticati strumenti di comunicazione di massa, rimanga oggetto di giudizi fortemente contrastanti: c’è chi ne incensa le capacità di condizionamento e penetrazione sociale, e c’è chi lo considera ancora immaturo, anche perché obiettivamente poco diffuso.

Ad esempio secondo alcuni pur autorevoli opinionisti Twitter e gli altri social media sarebbero addirittura inefficaci in politica, come dimostrerebbe il risultato delle scorse primarie del Partito Democratico. Tanto che a fine novembre alcuni blog titolavano:

  1. Bersani vince e perdono i social network“;
  2. Si afferma il candidato che ha comunicato di meno“;
  3. I social media non smuovono un voto“.

Usando lo stesso esempio (le primarie del PD), ma affidandosi a calcoli del ROI evidentemente più convincenti, sempre a novembre i sostenitori di Twitter esprimevano valutazioni diametralmente opposte:

  1. È vero che non ha vinto le primarie, ma Renzi è diventato un personaggio di spicco; la sua fama era sostanzialmente relegata ai confini toscani prima di investire 100.000 Euro per la propaganda su Facebook e Twitter.
  2. Riservando lo stesso budget a spot televisivi e cartellonistica il “rottamatore” difficilmente sarebbe riuscito ad ottenere pari visibilità e, di conseguenza, a raccogliere un milione di consensi su tre milioni di voti.

Twitter ed il valore nella comunicazione politica

Al di là di considerazioni estemporanee e fantasiose, tutti noi sappiamo che la notevole influenza dei nuovi media sull’opinione pubblica è in realtà un fatto inconfutabile. Meno definiti e forse poco conosciuti sono invece i molteplici ruoli svolti da Twitter sulla scena politica. E chissà che non sia proprio questa la causa di giudizi tanto discordanti.

Non dire Twitter se non ce l’hai nel sacco.

Twitter costituisce per la politica una ricca fonte di opportunità: rappresentanza presso altri media (vecchi e nuovi), vicinanza e collaborazione con l’elettorato, analisi di sentiment e notorietà, e chi più ne ha più ne twitta. Ma perché possa rivelarsi come strumento di comunicazione davvero efficace, in grado di agevolare fortemente anche la campagna elettorale dalle minori risorse finanziarie, credo sia necessario il verificarsi di due condizioni:

  1. deve funzionare come ingranaggio di una strategia di marketing “integrato”, che coinvolga anche i media tradizionali ed in particolare il più potente (la televisione);
  2. deve veicolare argomenti intrinsecamente validi e credibili.

Il primo punto merita secondo me pieno approfondimento attraverso i prossimi paragrafi. Il secondo invece è scontato e ampiamente condiviso: Twitter ovviamente non può fare miracoli, e tanto meno incrementare il consenso, se un’agenda programmatica (Grillo, M5S: “ADSL gratis per tutti”) contiene impegni che si confondono con la satira (Albanese, Qualunquemente: “Più pilu per tutti“), o se un grido di guerra (Renzi: “Rottamare il vecchio“) è rivolto agli apparati del (proprio) partito e non contro un avversario politico.

Twitter come PR, non solo digital.

Tra i compiti più frequentemente assegnati a Twitter c’è la gestione dei rapporti con gli operatori dell’informazione. Grazie alle sue capacità di sintesi e risonanza può infatti svolgere la stessa funzione di un ufficio stampa, in molti casi persino sostituendosi al personale ed alle complesse strutture di un’agenzia di pubbliche relazioni (locali arredati, linee telefoniche ed impiegati).

Un esempio concreto di come questa opportunità venga già da tempo sfruttata in politica è rappresentato dalle dichiarazioni pubbliche formulate, appunto, cinguettando: che si tratti di velenose considerazioni sui concorrenti, slogan di partito o divulgazione di punti programmatici, gli argomenti che fanno notizia vengono puntualmente ripresi da TG e quotidiani cartacei. Proprio come succede con i tradizionali comunicati lanciati dai PR, solo più velocemente.

Tra l’altro Twitter può persino proporsi come mezzo di comunicazione privata e diretta: con un semplice DM permette di segnalare un’iniziativa o proporre un’intervista anche a quei giornalisti di cui non si possiedono i contatti (i cui account sono invece pubblici e facilmente reperibili).

La TV in 140 caratteri.

A farmi prendere definitivamente atto che gli utilizzatori di Twitter sono inguaribili teledipendenti è stata un’autorevole indagine statistica di cui si è parlato in un post dedicato ai social media.

Secondo quello studio un terzo dei #trend più popolari è originato dai programmi TV. Il fenomeno si intensifica in tempo di propaganda elettorale: subito dopo conferenze e dibattiti, la politica raggiunge audience online estremamente elevate (è il caso ad esempio della recente puntata di #serviziopubblico con Berlusconi).

Meno discusso ma probabilmente più significativo è il fenomeno inverso: col tempo spettatori e giornalisti sono diventati “twitterdipendenti”. Nei mesi che precedono le votazioni i media sono affamati di notizie: del continuo flusso di informazione che percorre trasversalmente televisioni, radio, quotidiani cartacei e blog, la principale fonte di novità in tema di politica è sempre più spesso Twitter.

Il dono dell’ubiquità.

Un tempo era privilegio di pochi partecipare con una telefonata fuori programma ad una trasmissione in diretta TV (batta un colpo chi non ricorda gli inaspettati interventi di Berlusconi). Ora quella facoltà appartiene a qualunque esponente di rilievo dei partiti, grazie a Twitter.

Per un leader è cioè possibile partecipare ad un talk show pur non essendo ospite degli studi: basta lanciare un tweet perché il contenuto venga immediatamente citato dal conduttore. Il quale se da un canto si presta in questo modo come indipendente portavoce, dall’altro può perfino essere percepito dagli spettatori come portatore di advocacy advertising.

Lo stesso può dirsi per gli appuntamenti quotidiani dell’informazione televisiva. Se fino a ieri era compito difficile delle redazioni riportare nella stessa edizione del telegiornale le reazioni ad un servizio o ad un’intervista, oggi a loro basta sfogliare gli account Twitter dei politici interessati per contestualizzare – in pochi istanti – eventuali espressioni del diritto di replica.

Qui il dibattito lo conduco io.

Da quanto ci siamo detti fino a questo momento scaturisce un’ulteriore preziosa opportunità per quei responsabili di partito che sappiano e vogliano sfruttare Twitter al meglio durante la campagna elettorale: indirizzare l’informazione, proponendo con opportuna costanza messaggi ed argomenti di discussione che catturino continuamente l’attenzione mediatica.

La domanda è lecita: non è quello che già sta facendo, ad esempio, l’esperto ed abile Berlusconi attraverso le frequenti interviste su radio, TV e quotidiani? Certo, ma è vero che non tutti sono in grado di catalizzare con pari disinvoltura l’attenzione dei media tradizionali, o di mobilitare giornalisti e troupe televisive con lo schioccare delle dita.

L’account Twitter, invece, può permetterselo chiunque. Meglio però aprirlo col supporto di uno specialista particolarmente in gamba ed esperto, per non incorrere in quelle ingenuità che hanno caratterizzato i primi cinguettii dell’oramai seguitissimo @SenatoreMonti. Leggerezze che, a mio avviso, se pur in misura minima hanno comunque scalfito l’autorevolezza del personaggio, se non altro agli occhi degli interlocutori più “social”.

Metriche, analisi e previsioni.

È noto che i sondaggi rappresentano un tool indispensabile per partiti e movimenti politici: forniscono il “ROI” immediato, consentendo variazioni in corso d’opera delle modalità, e talvolta degli stessi contenuti, che caratterizzano la campagna elettorale. I rilevamenti statistici hanno però un costo, non sempre sostenibile.

Fortunatamente Twitter, secondo numerose ed autorevoli fonti, può essere anche impiegato per valutare l’andamento di una competizione politica e persino per prevederne i risultati. Come è successo con le ultime elezioni tedesche, le presidenziali francesi del 2012 e la contesa tra Obama e Romney. In quest’ultimo caso a formulare azzeccatissime proiezioni è stato il gruppo di analisti – che si fa chiamare “Voices from Blogs” – dell’Università degli Studi di Milano.

Naturalmente i frequentatori italiani di Twitter – oltre tre milioni secondo gli studi più recenti – non sono rappresentativi dell’intera popolazione. E da questo ne consegue che non è sufficiente fondare previsioni su valutazioni quantitative, come il numero di tweet, retweet e follower. È necessario incrociare quelle informazioni con i dati qualitativi, secondo metodi analitici che si vanno sempre più affinando ed affermando (ne parleremo magari più dettagliatamente in un altro post).

Non è tuttavia indispensabile ricorrere a complessi calcoli per sfruttare i preziosi spunti comunque offerti da Twitter. Ad esempio un leader che voglia sondare l’impatto delle proprie dichiarazioni sull’elettorato può ricorrere ai trend. E chissà che non l’abbiano già fatto i massimi rappresentanti delle coalizioni di centro, destra e sinistra, per limare programmi e promesse. A proposito: ma l’IMU sulla prima casa è o non è una tassa insostituibile, come sosteneva all’esordio in politica il premier uscente?

Conclusioni.

Sembra che Twitter stia alla politica come il cacio sui maccheroni, se conveniamo sull’efficacia dei diversi tipi di applicazione che ho citato in questo post: efficiente ufficio stampa, autorevole rappresentanza presso TV ed altri media tradizionali, costante fonte di informazione e divulgazione, economico quanto preciso sistema statistico, strumento di engagement e recruitment degli elettori, tool per l’analisi di ROI e KPI, e perfino piattaforma (traslata dai social aziendali) per la pratica di sondaggi, co-marketing, co-creazione e Web monitoring.

In realtà credo che solo alcune di quelle potenzialità si siano già consapevolmente espresse durante la campagna elettorale. Complici la diffidenza, talvolta l’incompetenza e chissà quali altre dinamiche – legittime o meno – della politica italiana. Non ultima la scarsa propensione ad innovare se stessa, da più parti denunciata.

Ma per le votazioni c’è ancora un mese di tempo: sono certo che fino ad allora Twitter sarà capace di sorprenderci, premiando più espressamente quei leader che si saranno mostrati in grado di sfruttare al meglio ogni singola arma resa disponibile dal più versatile, e forse più potente, tra i social media esistenti.